Sant’Ambrogio, Vescovo di Milano
Agiografia di Sant’Ambrogio, Vescovo di Milano
Fiaccola irraggiante la luce increata, questo illustre Padre, il cui nome evoca l’immortalità divina (l’ambrosia era il cibo degli dei), proveniva da una nobile e potente famiglia romana, convertita al Cristianesimo. Nacque a Trèviri nel 349; in quella città suo padre esercitava l’importante carica di Prefetto del Pretorio per la Provincia delle Gàllie. Dopo la sua morte, la madre ritornò a Roma con i suoi tre figli ancora in tenera età: Ambrogio, Marcellina e Satiro. Si narra che ancora infante, mentre era nella sua culla, delle api vennero attorno a lui, penetrando nella sua bocca, poi sciamarono verso il cielo, lasciando il loro miele colare dalle sue labbra , presagio della sua futura celestiale eloquenza.
Affidato ai migliori maestri, Ambrogio mostrò una particolare affinità per le scienze, ammirato da tutti per le sue doti oratorie. Terminati gli studi di diritto, fu ben presto designato dall’imperatore Valentiniano 1°, come governatore della Provincia della Liguria e dell’Emilia, che aveva per capitale Milano.
Il Prefetto Probo gli disse allora, senza sapere che stava pronunciando una profezia: “Va’! E governa come un vescovo piuttosto che come un giudice!”, volendo con ciò esortarlo alla compassione e alla misericordia. In effetti il giovane Ambrogio conquistò ben presto, con la sua saggezza e le sue virtù, l’affetto e la riconoscenza del popolo.
In quel tempo, nonostante la condanna del Concilio di Nicea del 325, l’eresia di Ario era ancora molto radicata e divideva terribilmente la Chiesa, soprattutto in Oriente dove aveva trovato il sostegno del nuovo imperatore Valente (364-378). Alla morte del Vescovo ariano di Milano, Aussenzio (373), venne tenuta nella cattedrale un’assemblea per procedere all’elezione del nuovo Vescovo, ma il popolo era così diviso tra le due fazioni, ariana e ortodossa, che era impossibile giungere ad un accordo. Si fece allora un appello ad Ambrogio, per intervenire a calmare il tumulto. Le parole del Governatore, la sua dolcezza, la sua persuasione, il suo spirito di pace, fecero una tale impressione che tutti i fedeli gridarono insieme: “Ambrogio Vescovo!”.
Sorpreso, poi spaventato, Ambrogio obiettò che egli era ancora Catecumeno (infatti era costume molto diffuso, in quel tempo, di ritardare il Battesimo, per non macchiarlo con ulteriori peccati) e si rifugiò nel suo palazzo, seguito dalla folla, che ripeteva senza smettere lo stesso grido.
Sopraggiunta la notte, egli tentò di fuggire a cavallo, ma sbagliò direzione e all’alba si ritrovò al punto di partenza. Tentò ancora di sfuggire a questo onore scrivendo all’imperatore, ma costui, di norma indifferente alle questioni ecclesiastiche, sostenne con ammirazione l’elezione di Ambrogio.
Finalmente rassegnato a sottomettersi alla volontà di Dio, questo rétore e amministratore di 34 anni, fu ordinato Vescovo otto giorni dopo il Battesimo, con soddisfazione dei due partiti.
Da allora Ambrogio si consacrò completamente al suo divino ministero, rinunciò a tutti i suoi beni, ricchezze e piaceri. Distribuì il suo denaro ai poveri e fece dono delle sue vaste proprietà alla Chiesa. Non conservando nulla per sé, passava tutta la settimana nel digiuno più austero, consacrava le sue notti alla preghiera e alla meditazione delle Sacre Scritture e dei Santi Padri, mentre durante il giorno si occupava del governo della Chiesa e della guida spirituale del suo popolo.
Sotto la guida del sacerdote Simpliciano, egli acquisì una profonda conoscenza della filosofia e dei Padri greci, specialmente Origène, e si impegnò con ardore alla difesa della fede ortodossa, gettando nella confusione gli ariani che avevano appoggiato la sua elezione all’episcopato, con la speranza di portarlo dalla loro parte.
Infaticabile nei suoi scritti e nei suoi sermoni, il Vescovo di Milano divenne, durante i 25 anni del suo episcopato, il campione dell’Ortodossia in Occidente, dopo Sant’Ilario di Poitiers, e fece della sua sede, Milano, che dopo il 381 era divenuta la residenza dell’imperatore d’Occidente, la metropoli in cui veniva deciso ogni affare ecclesiastico delle Diocesi d’Italia, della Pannonia, della Dàcia e della Macedonia.
Opponendosi fermamente all’imperatrice Giustina e alla corte del giovane erede Valentiniano 2°, che appoggiavano l’eresia ariana, Ambrogio si conquistò la fiducia e l’interesse dell’imperatore d’Occidente Graziano (375-383), grazie al quale egli poté far riunire il Concilio di Sirmio (l’odierna Sòfia) nel luglio del 378, e a far emanare delle leggi che proscrivevano l’arianesimo.
Alla morte di Valente (379), l’impero d’Oriente passò nelle mani del pio Teodosio, che nutriva per il Santo Vescovo un affetto pieno di rispetto.
Profondamente ortodosso, il nuovo imperatore fece riunire il Santo e Grande Concilio di Costantinopoli (2° Ecumenico) nel luglio del 381, mentre Graziano, consigliato da Ambrogio, riuniva il Concilio di Aquileia, che sancì la fine dell’Arianesimo.
Tuttavia questa amicizia con i sovrani non faceva perdere a Sant’Ambrogio il senso dell’indipendenza della Chiesa riguardo al potere civile.
Spinto dalla sua madre ariana Giustina, il giovane Valentiniano 2° intimò un giorno al prelato l’ordine di restituire la cattedrale ariana. “Andate a dire al vostro capo -rispose Ambrogio ai messi dell’imperatore- che un Vescovo non restituirà mai un tempio di Dio!”. Si barricò allora nella Chiesa insieme al suo popolo che era deciso a perire con lui.
Dalla Domenica delle Palme fino al Giovedì Santo essi resistettero così alle truppe che avevano assediato la chiesa, senza avere altre armi se non la predicazione ardente del loro Pastore e il canto dei Salmi e degli Inni.
Qualche anno più tardi, quando era al culmine della sua gloria, Teodosio fece reprimere, con un’inutile crudeltà, una sommossa avvenuta a Tessalonica, dove vennero massacrate più di 7000 persone.
La notizia giunse fino a Milano, e quando l’Imperatore, in visita nella metropoli italiana, si presentò alla porta della cattedrale per assistere alla Divina Liturgia, il Santo Vescovo, interprete della collera divina, non temette di impedirgli l’ingresso nella chiesa e di infliggergli una scomunica della durata di 8 mesi.
Rispettoso verso la disciplina della Chiesa, il sovrano, davanti al quale tremava il mondo intero, si ritirò allora piangente nel suo palazzo e si sottomise con umiltà alla pubblica penitenza.
Nel giorno del Natale, si avvicinò di nuovo alla cattedrale, si prosternò a terra ai piedi di Ambrogio, bagnando il suolo con le sue lacrime e supplicando di essere nuovamente giudicato degno di partecipare ai Santi Misteri.
Dopo aver ottenuto il perdono del Vescovo, nel momento della Comunione, egli entrò nel Santuario per comunicarsi insieme col Clero, come era l’usanza di Costantinopoli.
Ma il Servo di Dio Ambrogio si volse verso di lui e lo umiliò ancora pubblicamente cacciandolo e dicendogli: “Esci di qui e stai in mezzo ai laici, perché la porpora non è l’abito dei Sacerdoti ma degli Imperatori”.
Senza replicare, Teodosio uscì allora e si unì alla folla dei penitenti, tanto era il rispetto che aveva verso Ambrogio.
Ritornato a Costantinopoli, non osò mai più entrare nel Santuario per la Comunione.
Pur avendo confidenza con i Principi e i Grandi del mondo, Ambrogio aveva un’attenzione paterna anche per il più piccolo dei suoi fedeli. Quando un peccatore veniva da lui per confessarsi, egli lo prendeva tra le sue braccia e lo bagnava con le sue lacrime.
Difensore ardente della fede, egli tolse un gran numero di pagani dalle tenebre e li iniziò ai misteri del Cristianesimo, sia con pubblici sermoni, sia con colloqui privati.
Il più celebre dei suoi discepoli fu il Beato Agostino di Ippona, che grazie al Vescovo di Milano, si convinse ad abbandonare la religione manichea e ad entrare definitivamente nella Chiesa divenendo un suo brillante servitore.
Grazie ad Ambrogio la regina della tribù germanica dei Macromanni ricevette il Santo Battesimo e convertì il suo popolo alla vera fede.
Malgrado le sue numerose attività, questo grande Pastore trovò anche il tempo di comporre numerose opere, soprattutto esegetiche e morali, nelle quali egli mostra una vasta cultura, sia sacra che profana, e che contribuirono grandemente alla diffusione della dottrina dei Padri greci nel mondo latino.
Oltre alla sua opera oratoria, Ambrogio arricchì la Chiesa, con magnifici Inni liturgici, destinati ad essere cantati dal popolo nel sistema dei due cori antifonati, che costituirono uno dei più ricchi elementi della Liturgia latina per parecchi secoli.
S.Ambrogio si addormentò nella pace di Cristo il 4 aprile del 397, due anni dopo il suo amico e discepolo Teodosio, di cui aveva pronunziato l’orazione funebre.
Il suo corpo riposa nella basilica milanese che porta il suo nome.
Traduzione a cura dell’igùmeno Dimitri Fantini
Fonte: Tratto da “Le Sinaxaire – vie des Saints de l’Eglise Orthodoxe”, tomo 2°, Edizioni “To perivoli tis Panaghìas”, Tessaloniki, 1988.