San Vincenzo di Saragozza
Agiografia di San Vincenzo di Saragozza, Diacono e Martire
Nel Pasionario Hispanico che raccoglie le biografie dei Santi Martiri spagnoli, in una redazione che risale al 3° secolo, troviamo le notizie sulla vicenda del Santo Martire Diacono di Saragozza. Di lui hanno scritto il Beato Agostino, Prudenzio e Venanzio Fortunato, San Gregorio di Tours e San Paolino di Nola.
Secondo la Passio, Vincenzo nacque a Osca, (Huesca), nei pressi dei Pirenei, da un’importante famiglia. Il padre, console, aveva nome Eutìchio e la madre Enola. Destinato agli studi letterari, il giovane venne affidato per l’istruzione al Vescovo Valerio di Saragozza. Il ragazzo si dimostrò un ottimo allievo tanto da meritarsi, crescendo, la carica di Arcidiacono, diretto collaboratore del Vescovo, col compito di amministrare i beni della Chiesa e di amministrare il Battesimo. Il vescovo, che aveva difetti di pronuncia ed era molto timido, gli diede anche l’incarico di predicare il Vangelo in suo nome. Quando si scatenò la persecuzione di Diocleziano, Valerio e Vincenzo furono arrestati e condotti davanti al Prefetto della Provincia Daziano, il quale cercò di convincerli a sacrificare agli dei. Vincenzo, abituato a parlare a nome del Vescovo, si rifiutò di abiurare in un drammatico colloquio che si conclude con l’esilio di Valerio e con l’ordine di sottoporre alla tortura l’Arcidiacono.
Vincenzo venne così sottoposto al supplizio del cavalletto, poi degli uncini, allo strappo delle unghie, alla graticola, alle lame infuocate. Il martirio non fiacca la resistenza di Vincenzo. Irritato, Daziano lo manda in carcere dove lo fa distendere, incatenato, sopra i cocci di vasi rotti. A questo punto avvenne un miracolo: le catene si spezzano, i cocci si mutano in fiori, luce e profumo inondarono le tenebre, mentre gli Angeli scesero dal cielo a consolare Vincenzo. Quando il terribile Prefetto seppe del prodigio, decise di mutare tattica e di vincere il diacono promettendogli favori: ordinò di deporlo su un soffice letto permettendogli di ricevere gli amici.
Vincenzo, beffandolo un’ultima volta, morì il 22 gennaio del 304.
Indispettito Daziano ordinò che il corpo del Martire venisse gettato in un campo deserto, in pasto agli animali. Il Signore rispose alla sua malvagità, mandando un corvo a vegliare e a difenderlo contro le fiere. Il Prefetto lo fece allora rinchiudere in un sacco appesantito da un masso e lo fece gettare in mare. Il sacco galleggiò sulle acque, permettendo alle onde di depositarlo su una spiaggia dove venne ritrovato da alcuni cristiani, dopo che il Santo era apparso a un uomo e a una donna rivelando loro il luogo dove si trovava.
Le reliquie rimasero a Valenza fino all’invasione degli Arabi, quando alcuni fedeli decisero di trasportarle in Portogallo, nascondendole in un promontorio che si è poi chiamato “Capo San Vincenzo”.
Finita la guerra nel 1147 il re Alfonso 1° le fece ricercare e poi trasportare a Lisbona dove vennero deposte nella Cattedrale. Saragozza ebbe invece la Tunica insanguinata del Martire.
Nella nostra città vi è una chiesa costruita nel 19° secolo: “San Vincenzo in Prato”, nella via omonima vicino a Corso Genova, che conserva sotto l’altare maggiore la preziosa reliquia del braccio di S.Vincenzo. Altre reliquie sono conservate in Francia e in Spagna.
La nostra chiesa conserva due affreschi frammentari posti sulla parete di fronte all’ingresso: uno descrive la scena del processo del Santo, di fronte al governatore romano Daziano, e l’altro la scena del trasporto del corpo del Martire dopo il supplizio.
Gli affreschi sono opera di Aurelio Luini e della sua Scuola (16° secolo).
Fonte: Tratto dal Pasionario Hispanico.