Terremoto di Messina 110 anni dopo
Dopo la conferenza sul terremoto di Messina del 1908 che si è tenuta presso la nostra chiesa, ci è apparso necessario scrivere un articolo relativo alla stessa. Il 28 dicembre del 1908 alle 5:20:27 ci fu la prima scossa del terremoto che distrusse, in modo particolare, la città di Messina, con magnitudo circa di 7.2 della scala di Richter, 11 della scala Mercalli. Gli addetti all’osservatorio Ximeniano di Firenze annotarono: “Stamani alle 5:21 negli strumenti dell’Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave”1. Sicuramente, questo terremoto insieme a quello del 1783 sono stati eventi particolarmente distruttivi, che interessarono, non solamente la città siciliana, ma, la c.d. area dello Stretto, ricomprendente il sud della Calabria ed il Nord-Est della Sicilia.
In questo articolo ci si pone l’obiettivo di evidenziare quegli aspetti venuti in rilievo dal suddetto evento e che la storia ufficiale non ha approfondito adeguatamente oppure ha modificato o trascurato del tutto.
Secondo taluni, la tragedia del terremoto fu anticipata o causata da una maledizione lanciata da una madre la sera del 27 dicembre, come vendetta per il figlio arrestato: “Sia male! Deve venire il terremoto che scelga le sue vittime, e che ammazzi voi e tutta Messina”.
Sicuramente, il terremoto del 1908 è uno spartiacque nella plurimillenaria storia di Messina. Fino al 1908 vi era una Messina bella, colta e proiettata verso il futuro. Dalle macerie del terremoto “rinasce” una nuova città priva di identità che non riuscirà più a ricuperare la bellezza e l’erudizione antecedente al sisma.
Purtroppo, nessuno di coloro che hanno trattato questo argomento, hanno esaminato nella sua interezza la portata di questa tragedia moderna. Tutti, ovviamente, si sono concentrati sui danni materiali alle cose ed alle persone che questo evento ha causato alle varie comunità che vivevano non solo a Messina, ma in tutta l’area dello Stretto. Ma è stata del tutto ignorata in modo più o meno consapevole la tragedia culturale e religiosa che da essa ne è scaturita.
Ebbene, il 28 dicembre 1908 scomparve definitivamente la comunità greca di Messina e con essa la grecità della città dello Stretto, che ebbero il loro inizio nel 730 A.C. anno in cui si fa risalire la fondazione di Zancle. Tuttavia, bisogna ricordare che vi sono tentativi lodevoli e concreti di riportare alla luce del sole la grecità della città siciliana quale il riconoscimento nel 2012 di Messina come “comune di minoranza greca” (Δήμος Ελληνικής Μειονότητας), con la conseguente applicazione delle disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche previste dalla legge n. 482 del 15/12/1999. Ma, che, tuttavia, lascia indifferente la grande maggioranza della città, ormai, interamente assorbita dal mondo occidentale.
Ma è ancor più grave la tragedia della definitiva distruzione della presenza ortodossa, segnatamente di tradizione greca riconducibile al Patriarcato di Costantinopoli, sfruttando la ghiotta occasione che il terremoto aveva fornito alla classe politica e religiosa dominante di allora, che cancellò qualsiasi traccia riconducibile all’ortodossia che ha reso Messina faro di spiritualità e cultura non solo in Italia, ma, anche nel mondo. I dati ufficiali parlano di 32 chiese di “rito greco”, tale definizione ipocrita nasconde una verità da dover necessariamente nascondere, ovvero, erano chiese greco-ortodosse. Ma voci ufficiose, parlano di circa 80 chiese greco-ortodosse con ben 33 sacerdoti, di cui sono sopravvissuti al terremoto solo in 11. Il fatto che le chiese greco-ortodosse, con ipocrisia definite di “rito greco”, erano in numero considerevole tale da richiedere un intervento statale lo si ricava implicitamente anche dalla legge 13 LUGLIO 1877, N. 3942. – COLLA QUALE SONO RIVOCATI ALCUNI PROVVEDIMENTI DEL CESSATO GOVERNO DELLE DUE SICILIE RELATIVI ALLA CHIESA E CONFRATERNITA DEI NAZIONALI GRECI IN NAPOLI – art. 3) «Il Governo del Re è autorizzato ad applicare con Regi decreti le stesse norme, e nei modi opportuni, alle chiese greche di Messina ed altre città del Regno, e ad emanare le occorrenti disposizioni transitorie e quelle richieste per l’esecuzione della presente legge.»
Con la legge del Regno d’Italia n. 3942 del 13 luglio 1877 furono sanciti i diritti delle chiese greche di Messina, importante riconoscimento per l’intera comunità greca messinese. Ad oggi, il dato che maggiormente salta agli occhi è che ancora l’autorità religiosa di Messina continua a manifestare la sua ostilità verso la locale comunità greco-ortodossa non concedendo alcuna chiesa, ma, anzi, relegandola in uno stanzino, gentilmente, offerto dalla locale comunità Valdese.
A completamento di ciò, l’Arcivescovo cattolico di Messina ha indebitamente acquisito il titolo di archimandrita, che è un titolo unicamente del monachesimo ortodosso e ciò quale conseguenza dalla presenza dell’archimandritato del Santissimo Salvatore in lingua Phari, che aveva una giurisdizione su circa 60 monasteri greco-ortodossi tra il sud della Calabria ed il Nord-Est della Sicilia.
L’ulteriore capitolo non molto chiaro di questa tragica vicenda riguarda l’aiuto che i marinai russi resero alla città peloritana. Tra gli storici vi è una sostanziale confusione tra chi ritiene che i primi soccorritori furono italiani ed inglesi e, solo, successivamente, i russi. Mentre altri ritengono che i marinai russi siano stati i primi soccorritori.
Quello che è chiaro e che le navi russe erano ad Augusta in quanto si trovavano nel Mar Mediterraneo per effettuare un’esercitazione con circa 3.000 uomini e non avevano alcun particolare legame con Messina tale da partire immediatamente non appena venuti a conoscenza dell’evento catastrofico, addirittura, senza attendere la necessaria autorizzazione degli stati maggiori della marina militare russa. Mentre nei giorni successivi all’arrivo degli italiani circolarono voci che gli uomini del Generale Mazza erano pronti a bombardare e distruggere Messina, perché era troppo costoso e complicato ricostruire la città, tanto e tale era la distruzione che la medesima aveva subito dal terremoto e maremoto.
La drammaticità di quei momenti è riassunta dalla dichiarazione raccolta del direttore della maggiore testata messinese: «Nelle acque del porto galleggiava di tutto: cadaveri, carretti, mobili, carcasse d’animali, travi, botti, bastimenti affondati… non solo le pareti si piegavano come fogli di carta, ma io stesso, che quel mattino mi trovavo in redazione, mi sentì sbalzare due o tre volte all’altezza di un metro dal pavimento… Il rumore delle case crollanti mi assordava… non vi era che un lungo, lugubre, immenso strillo da tutti i punti della città: Aiuto, Aiuto!» (Riccardo Vadalà, direttore della Gazzetta di Messina)2.
Quello che rileva è che il contributo dei marinai è stato determinante non solo per la sopravvivenza della popolazione, ma della stessa città. Il terremoto distrusse la città alle 5:20:27 del mattino del 28 dicembre, mentre le navi russe arrivarono il 29 dicembre cariche di aiuti per la popolazione con una squadra composta da due corazzate e due incrociatori. Gli aiuti italiani arrivarono solamente l’1 gennaio.
I marinai russi si distinsero per la loro organizzazione negli aiuti, a differenza degli italiani, che vennero dispensati incessantemente al punto che tre marinai morirono per il notevole sforzo profuso in tali circostanze. Molti rimasero feriti. Nel breve tempo in cui i marinai russi operarono sul suolo cittadino donarono vestiti, medicine e nutrimenti alla popolazione messinese. Inoltre si distinsero per l’amore cristiano con cui operarono tra la gente. Le cronache raccontano che i messinesi maturarono un profondo affetto e stima verso i marinai russi, in quanto nel momento di distribuire gli aiuti: gli inglesi si limitarono a dare le razioni prestabilite, mentre i russi donarono tutto. Ulteriormente, essi diedero prova del rispetto per i defunti, in quanto durante una sepoltura un marinaio russo notò una donna nuda, che lo stesso coprì, così consentendo di concludere la sepoltura. Il ruolo dei marinai russi è stato molteplice, in quanto essi, non solo, recuperarono da sotto le macerie i vivi, curato i feriti sfamandoli e dandogli da bere e vestendoli, ma svolsero, anche, il ruolo di pubblica sicurezza, in quanto le forze dell’ordine nonché l’esercito di stanza a Messina era stato decimato dal terremoto. Si evidenzia che dalla tragedia di cui si narra, rimasero quasi del tutto illesi i carcerati, i quali, una volta trovatisi in libertà, si suddivisero le zone di Messina cercando di rubare nelle demolite case dei ricchi, la notte bruciando le banche e scavando, cercavano i caveau per sottrarre i preziosi e i denari in essi contenuti ed, ancora, rubare i preziosi addosso le persone, anche defunte, bloccate sotto le macerie.
Vi sono casi in cui gli sciacalli, tagliarono il dito del malcapitato, qualora fosse stato gonfio al punto da rendere impossibile la sottrazione dell’anello.
Le cronache narrano che un malvivente nel cercare una casa di ricchi da derubare, si imbatté in una coppia di commercianti abbienti, i quali, pur trovandosi sotto le macerie, erano in vita. Il marito nel vedere che si avvicinava verso di loro un uomo, implorava pietà e gli chiese un aiuto, lo sciacallo cercò di monetizzare l’aiuto e l’uomo gli promise che se avesse estratto lui e la moglie era pronto a donargli 20.000 franchi in contanti e, successivamente, dei titoli. Il delinquente promise l’aiuto, ma, semplicemente, rimosse unicamente le tavole necessarie affinché l’uomo fosse messo in grado di prendere i soldi, dopodiché lo sciacallo, per paura di esser riconosciuto in una fase successiva dal medesimo derubato, riposizionò le tavole sulla vittima della ruberia e diede a fuoco, andandosene. In questo clima, i marinai russi pattugliarono le strade, difendendo la popolazione sopravvissuta e prevenendo episodi di sciacallaggio, come quelli, dianzi raccontati. Difesero, inoltre, le riserve auree del Banco di Sicilia.
A dispetto di una certa storiografia ufficiale che avversa l’operato dei marinai russi, criticandolo “fortemente”, il popolo messinese nutrì un profondo rispetto e riconoscenza verso lo stesso. Dalla recente apertura dell’archivio di stato russo sono emersi attestati di profonda stima da parte dei sopravvissuti al terremoto nei confronti di marinai russi. I signori Francesco ed Elvira Pira hanno scritto: << Gesù è con la Russia. Grazie!>>. Ulteriormente, nel primo consiglio comunale, successivo al terremoto, fu deliberato, a furor di popolo, di dedicare una piazza centrale ai marinai russi. I messinesi contribuirono ad aiutare “dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il comandante Ponomarev dell’incrociatore Makarov, divenuto Ammiraglio, dovette fuggire dalla Russia bolscevica e giunse a Messina nel 1918, privo di mezzi di sostentamento ed in città fu subito organizzata una raccolta di fondi per aiutarlo tramite il giornale “La Gazzetta di Messina e delle Calabrie”3.
Il terremoto del 1908 ha radicalmente modificato non solo la vita delle comunità dell’area dello Stretto, ma anche di uno dei capi squadra dei marinai russi che era assegnato all’incrociatore Bogatyr ovvero il guardiamarina Ivan Steblin-Kamenskij. La sofferenza ed il dolore sperimentati nell’opera di salvataggio effettuata a Messina, lo indusse a meditare sui misteri della vita. Il padre fu un importante senatore, nonché funzionario dell’Ammiragliato. Per tale motivo Ivan scelse di arruolarsi per continuare la tradizione di famiglia. Nel 1911 venne insignito della medaglia d’argento del governo italiano per gli aiuti prestati nel terremoto nel 1908. Nel 1920 Ivan lasciò la marina per intraprendere gli studi religiosi. Venne ordinato nel 1923 ed assegnato come parroco alla chiesa della Santa Trinità a Pietroburgo. Ivi padre Ioann si oppose fieramente ai rinnovatori che cercavano di combattere la Chiesa ortodossa, ma fu arrestato insieme ad altri 40 sacerdoti dai comunisti con l’accusa di raccogliere persone nella propria casa per svolgere propaganda religiosa e ciò gli comportò una condanna a tre anni da scontare nel lager sulle isole Solovki. Pertanto, scontata la pena, padre Ioann venne confinato per tre anni a Voronezh, ivi giunse nel novembre del 1927. Venne assegnato alla parrocchia di S. Alexej. In poco, padre Ioann raccolse intorno a sé molti fedeli e ciò divenne motivo di scontro con le autorità comuniste locali, che ebbero come conseguenza una campagna di odio nei confronti del padre, che culminò con la chiusura della chiesa e con una convocazione presso i dirigenti comunisti locali che lo ammonirono e lo richiamarono all’ordine, che, tuttavia, il sacerdote respinse e per tal motivo venne arrestato:<< Nei confronti del potere sovietico io sono leale, però non condivido le misure contro la religione. Considero ingiusto insegnare nella scuola dottrine contrarie alla religione. Non avendo altre armi al di fuori della croce, sia nel passato come attualmente, considero unico metodo giusto quello di poter agire sulle masse in modo pacifico. Ho condannato ogni protesta contro le leggi civili. Non ho dubbi che la fede in Cristo crocifisso sia invincibile e che l’apparente trionfo del materialismo sia un fenomeno transitorio>>4.
Nel 1930, su ordine di Tuckov, capo del sesto dipartimento, che impose di essere più energici nell’eliminazione del clero, con l’accusa di propaganda antisovietica, padre Ioann venne fucilato il 2 agosto 1930 insieme ad altri sacerdoti.
Padre Ioann, è stato riconosciuto santo con il titolo di nuovo martire da parte del patriarcato russo nel 2000 ed è l’unico santo russo che ha un indelebile ed eterno legame con la città di Messina, luogo ove incontrò la sua conversione.
Di seguito vengono riportate alcune sue riflessioni effettuate nel lager ed indirizzate ai suoi amici e parenti:
“Cristo nasce fra noi, glorificatelo! (saluto natalizio). Miei cari, amati in Cristo, rallegratevi. Rallegratevi per la grande festa che è prossima e che, nel gran gelo invernale, preannuncia la primavera. Sia pur rigido l’inverno; le tempeste di neve oscurino pure il sole ai nostri occhi, noi sappiamo che la natura compie il suo corso e dopo il gelo di febbraio il sole ricomincerà a riscaldare. A dominare nella storia dell’uomo sia pure il gelo morale; i popoli continuino pure a maciullarsi nell’insana tensione egoistica verso il benessere materiale individualistico, la causa di Dio cammina verso il suo compimento; il Sole della verità riscalda tutto ciò che è chiamato alla vita…Non si esige che tutti i cristiani siano degli asceti, ma indubbiamente si richiede da loro una tale tensione al Signore che li renda capaci di accettare da lui ogni servizio nella fede che permetterà loro di sperimentare il massimo di felicità.”
“Il Signore conceda a tutti noi la forza di camminare sempre per la via della verità e dell’amore. Sappiano coloro che hanno sete di verità e sono fedeli nell’amore, di ricevere un sostegno nei momenti più pesanti della loro attività, quando la verità e l’amore sembrano riposare nel sepolcro…Cristo è Risorto! E’ risorta la vita. La morte ha perso il suo pungiglione, la sua forza, la morte è morta. La disperazione, lo stato d’animo più terribile, non ha alcun fondamento perché è stata distrutta l’angoscia della vita. Eterna non è la morte, ma la vita; eterno non è il nulla, ma l’essere, Chi conserva in sé un germe di Vita, un germe di Amore, un germe di Verità non può essere distrutto”
“Mi sembra che il mio distacco da voi non abbia più una fine. La mia anima è stata strappata dall’atmosfera dell’amore da un sevizio guidato da Dio ed è stata gettata nel mondo della vanità, condannata ad un lavoro che mi è estraneo. Sento, sento molto bene che è rimasta poca acqua alla mia vita, e nella nostalgia la mia anima anela soltanto a voi e non so immaginare nessuna tranquillità se non nel ritorno alla casa natale. Ma la saggezza dei Padri e della Chiesa richiama l’anima assetata di pace spirituale a cercare un’altra bevanda. Questa bevanda è concessa a chiunque la chieda, ovunque si trovi. Ma perché l’anima sia consolata da questa bevanda, deve veramente aspirare ad essa”
“Durante la mia permanenza alle Solovki non ho potuto leggere quasi nulla, non ho imparato nulla, molto ho dimenticato, ma il Signore mi ha consolato donandomi quello di cui ora ho particolarmente bisogno. Ho ottenuto la piena sottomissione alla sua volontà e la ferma certezza che tutto quanto succede è per noi un bene. Questo non significa che io non voglia ritornare a casa e che non senta profondo il dolore per la lontananza dai miei cari, ma ho capito semplicemente che le sofferenze accompagnano sempre il cristiano su questa terra e sono compagne naturali della sua vita…il mio benessere e la mia salute sono nelle mani del Signore. La mia felicità è la fede assicurata a tutti noi che cerchiamo la Luce, la Verità e l’Amore in Cristo risorto.”5
A conclusione di questa riflessione su un fatto che può essere annoverato tra le pagine nere della storia italiana, si riporta una lettera scritta da una cittadina messinese, dove a titolo privato, ma, certamente, evocativa della profonda stima e rispetto che l’intera cittadinanza messinese ha nutrito verso i suoi salvatori.
MARINAI RUSSI6
di Matilde Serao
Matilde Serao Da ventiquattr’ore, in uno scenario terrificante di rovine, fra le fiamme dell’incendio, in Messina, gemevano sotto le pietre i sepolti vivi, gridavano il loro dolore i feriti e agonizzavano in un atroce delirio i morenti : mentre per le vie sfigurate, deformate, che essi non riconoscevano più, fra l’orrore, il tetro silenzio e la morte, vagavano quelli che si eran salvati inebetiti come spettri umani. Per un intero giorno, non una voce, non una mano, non una parola, non un atto di soccorso : nulla, nulla, l’abbandono, l’agonia e la morte. E a un tratto sono apparsi dei visi umani, contratti dalla sorpresa, dall’ansietà e dalla pietà: degli uomini, sono apparsi, venendo dal mare, scendendo da una nave, avanzandosi fra le macerie, scavalcando le montagne di pietre e di calcinacci, scavalcando le acque putride lasciate dal mare : degli uomini sono apparsi in Messina, venuti dal mare per soccorrere i Messinesi ! Erano naviganti, ufficiali e marinai : di un’altra nazione : di un’altra terra: giunti da mari lontani, da mari nordici: parlanti un’altra lingua e ignari della nostra : naviganti e soldati, insieme, appartenenti ad una nave da guerra, alla nave russa, l’Admiral Makharoff. E questi pochi, ufficiali e marinai, si sono messi a estrarre i sepolti vivi da sotto le pietre delle case di Messina, essi per i primi: si sono messi a raccogliere i feriti, a cercare di medicarli, di sollevarli, con qualche cordiale : si sono messi a confortare i moribondi e a chiudere gli occhi ai morti: essi per i primi, questi russi, ufficiali e marinai, dal nobilissimo loro comandante al più oscuro dei mozzi. E in questa opera coraggiosa e pietosa essi hanno portato, insieme, l’impeto più santo e la delicatezza più profonda: così hanno rotto le loro mani contro le pietre e hanno sanguinato, giacché temevano di uccidere qualche sepolto vivo, se adoperavano un piccone: essi hanno scalato le altitudini delle macerie: essi sono discesi nelle voragini fatte dal terremoto : essi hanno prodigate le loro forze e Dio le ha loro centuplicate perché essi, questi russi, per i primi, potessero salvare donne, uomini, e bimbi, in Messina. E una folla di feriti, di contusi, di fuggiaschi si è raccolta, intorno a loro, e per venir via, sulla nave, da Messina: una folla che piangeva, che gemeva, che si disperava, perché voleva esser condotta via : così, molto, molto più che l’Admiral Makharoff ne potesse imbarcare, sono stati imbarcati, tanta era alta e ardente la volontà di salvezza di questi russi : un ufficiale e cinque uomini, ebbri di sacrificio, hanno voluto restare a terra per disseppellire altri viventi, per medicare altri feriti, per raccogliere altri fuggiaschi, mentre la forte nave russa, trasformata in asilo di profughi, trasformata in ospedale, si allontanava col suo carico di misere donne, di poveri bimbi, di uomini istupiditi dallo spavento e dal dolore, si allontanavano verso Napoli in un singolare viaggio, mentre nel loro tacito, operoso, efficace entusiasmo, ufficiali e marinai non sentivano che un solo rammarico : che la loro nave non fosse stata anche più capace, per portare via, verso Napoli, molti più sventurati, molti più colpiti da una fatalità senza nome!
E gli uomini, le donne, i bimbi, scendendo a terra, a Napoli, tremavano di emozione, piangevano di riconoscenza, voltandosi a salutare, con la mano, i marinai di Russia, i biondi slavi, parlanti una lingua ignota, e ignoranti della loro, che li avevano salvati.
Ah, non salvati solamente in Messina : ma in Messina e a bordo, messisi a servire la miseria di quei disgraziati, porgendo loro amorosamente, il bere e il mangiare, togliendosi biancheria e mantelli per rivestirli, amorosamente vegliando gli infermi, dando loro i medicamenti, prodigando loro le cure più tenere, in silenzio, intendendoli, talvolta, solo coi segni, provvidi, rapidi, con un ardore tacito, con quel profondo ardore di quella grande razza che è la slava! Con le loro mani rudi, i marinai di Russia hanno tenuto nelle braccia i poveri bimbi messinesi, che piangevano, chiamando la madre, e hanno cercato di farli quietare e di farli dormire: con le loro rudi mani, i marinai hanno dato da bere del latte, al mattino, agli orfanelli messinesi e i volti biondi e i chiari occhi azzurri degli slavi hanno sorriso ai volti bruni e rotondi, ai grandi occhi neri dei bimbi siciliani. E nessuno, nessuno è sceso dalla nave russa, senza essere stato provvisto di qualche abito, di qualche mantello : nessuno che sia sceso di lì e abbandonato a se stesso, anche se sano di corpo : e con commozione, con lacrime, i salvati si sono divisi dai salvatori. Un ufficiale russo si era occupato teneramente a bordo, a curare una fanciulla tredicenne messinese : la poveretta aveva rotta la gamba sinistra, fortemente pesto l’indice della mano sinistra, l’occhio sinistro molto gonfio, una pietà! Il tenente russo appena ha potuto intendere che ella aveva un nome simile a Costantina: la sventurata sapeva che il suo salvatore si chiamava Michel. Poi quando essa è sbarcata, l’hanno portata in un ospedale : e chi sa quale ospedale ! E il russo nella sua profonda pietà, vorrebbe avere notizie di colei che egli ha salvata, vorrebbe mandarle qualche soccorso, un po’ di roba : e non sa più oramai dove ella è, mentre, di nuovo, egli è via, sulla nave, verso Messina e noi, frementi della sua medesima angustia, vorremmo ritrovargli, in un ospedale, in un letto, quella poverina che è, forse, morente, che se guarisce, domani, sarà senza pane e senza tetto : e non ne sappiamo neanche il nome, né lui, né noi. Ah ! Non solo strappati di sotto le pietre, alla morte i poveri messinesi, dai marinai russi, ma risorti alla vita e alla luce, ma indotti, di nuovo, a credere e a sperare!
E sia segnato nella storia della bontà umana, in una pagina eterna, il ricordo di quanto fecero i marinai russi a Messina: e che le preghiere e le benedizioni di tante sventurate creature umane ricadano sulle loro teste, facciano benedetta, prosperosa e felice la loro vita! Che siano benedetti questi ufficiali, questi marinai in ogni passo che danno, sulla loro bella nave, e riluca essa sempre, salda e superba, ai loro fieri occhi, e sia pronta al rischio e coronata dalla vittoria: che siano benedetti questi ufficiali russi, in ogni loro passo, quando scenderanno sui lidi lontani e interrogheranno con l’occhio curioso, i paesi ignoti; e benedetti quando, ritornati laggiù, nel gelido nord, rientreranno nelle loro case e curveranno le loro fronti che conoscono l’atto della reverenza, dinanzi alle sacre icone familiari. E siano orgogliose dei loro figlioli, le loro madri russe, patrizi e abitanti nei grandi palazzi di Pietroburgo e di Mosca, madri degli ufficiali o contadine delle steppe, ferme sulle porte delle loro isbe, ad attendere di lontano, il figliolo marinaio, che torna dal mare alla terra natia : siano orgogliosi i loro compatriotti, russi, sparsi in tutte le terre del mondo, dove arriverà notizia di tanto valore e di tanta carità: e la nazione russa sia orgogliosa di costoro che la onorarono col loro coraggio e col loro amore del prossimo. Migliaia di altri atti di bontà, di pietà, di generosità stiamo registrando, con una emozione appena repressa: migliaia ancora ne registreremo : e ciò servirà più tardi, a glorificare questo nostro tempo, a glorificare lo spirito umano e il cuore umano. Ma la prima pagina, quella eterna, di questa istoria fulgente è stata scritta da costoro, da questi pallidi e biondi slavi così freddi nell’aspetto e così ardenti nel loro animo, è stata scritta da questi uomini, di altra razza, di altro paese, di altri costumi, che sanno dare la loro vita per Iddio, per il re, per la patria, come gli uomini del Medioevo, che sanno pregare e che sanno agire, che sanno vivere nobilmente e nobilmente morire!
“Il Giorno”, 1-2 gennaio 1909
Fonti:
1. Wikipedia
2. http://pochestorie.corriere.it
3. www.russianecho.net
4. www.culturacattolica.it
5. www.culturacattolica.it
6. www.russianecho.net